Quando incontro il toponimo “Gerusalemme” succede qualcosa di strano. Mi saltano alcuni battiti del cuore, nel senso che il mio cuore smette di battere per un attimo e poi riprende. Mi fermo, attendo, resto in ascolto, non per capire perché il mio cuore abbia saltato uno o due battiti, ma perché devo assolutamente prestare attenzione alla parola Gerusalemme. Poco importa che sia un articolo di giornale, una pubblicità, il titolo di un libro, la rivelazione di una scoperta archeologica o il frammento di un foglio stracciato al vento. Il dato importante sono le lettere che ne compongono parola.
Quando questo accade mentre leggo un libro su Gerusalemme, dove la parola Gerusalemme è normale sia scritta più volte, allora è necessario capire perché. Non credo sia possibile stupirsi di incontrare la parola Gerusalemme in un libro su Gerusalemme, ma a me succede.
Ecco, questo è il mio problema.
È così da sempre! Partire per Gerusalemme, in un viaggio alla ricerca delle ragioni che mi annodano a questa città mi spaventa, perché potrei non scoprirlo e restare con questo dilemma insoluto per sempre. E se il cuore, poi, decidesse di smettere di battere e basta?
Quest’attrazione particolare, questo senso di appartenenza seppur illogico ed irreale tuttavia esiste, ed in questi giorni di tragedia assoluta mi tiene in uno stato d’angoscia, di indignazione per il senso di giustizia negato al popolo palestinese, da decenni oppresso e segregato.
Nessuna violenza può trovare giustificazione, nessuna; nessun popolo può essere schiacciato da un altro popolo, nessuno.
Gerusalemme è il sogno di Dio che leva fiato all’uomo.